Farsi un’opinione su cosa stiamo vivendo e su quale sia lo scenario futuro desiderabile è difficile coi condizionamenti di tutta una vita e col bombardamento di idee, esternazioni e timori, oltre che provocazioni, che subiamo tra media e reti social. In parte per esorcizzare un futuro ignoto e quindi, in sè, spaventoso, in parte perché non sono in grado di concepire prospettive alternative, molti si abbandonano ad approcci semplificati che vanno dallo scherzo – filmati e vignette spesso divertenti – a polemiche antigovernative dove ogni mossa dell’amministrazione appare ridicolizzata.
Così, però, si evita solo il dovere di pensare responsabilmente al da farsi.
Alcune tra le tante voci che ci sono invece sembrate più vicine a un’analisi puntuale del momento pongono l’attenzione innanzitutto sulla necessità – non è una scelta evitabile in prospettiva di lungo periodo – di cambiare i riferimenti di ogni ragionamento: dall’economia alla finanza, all’organizzazione aziendale, alle politiche pubbliche, al modo di agire dei singoli cittadini, ai doveri verso le fasce marginali e deboli.
Vogliamo ridurre questo intervento all’osso buttando perciò sul tappeto solo alcuni punti chiave: partendo dalla sanità, la cui perseguita privatizzazione mostra proprio nel momento del bisogno letali limiti, poggianti sulla riduzione a elemento regolato fondamentalmente da logiche di mercato di un fulcro centrale di sopravvivenza della specie umana. Non può essere tranquillo, o non a lungo, nemmeno chi ha oggi mezzi per permettersi un canale preferenziale. Un virus – ma è solo l’esempio attuale – non chiede l’estratto conto per infettarci e il nostro stare sani passa dalla salute del barbone che ha dormito davanti al cancello della nostra villa.
Ma può valere anche per la privatizzazione dell’acqua, o per altri beni pubblici. Un sistema economico globalmente interconnesso e quindi delicato quale l’attuale potrà sopravvivere a ripetute epidemie o altre emergenze generali? Oggi una catena interrotta in un punto cessa di funzionare in toto. Chi fa man bassa al supermercato è solo preda del panico, ma forse ha capito questa verità: non è garantito che il sistema gli fornisca la pasta e la pommarola come sempre. O magari solo a costi crescenti e per lui proibitivi. Il che porterebbe a sommosse e disordini di tipo manzoniano.
La quarantena generale: non si può restare per sempre reclusi: la risposta migliore oggi deve passare al grado 2: le aziende come longa manus di una responsabilità pubblica diffusa, di tipo nuovo. Il sistema economico fatto di miriadi di aziende entra nel tessuto microfamiliare e per questa via può farsi carico organizzativo di un sistema generalizzato di screening permanente che individui i casi da isolare e curare senza dover paralizzare ogni attività produttiva, permettendo un controllo capillare collegato a direttive sanitarie centrali (ed espellendo tendenzialmente in questo modo concorrenze in nero).
Anche la pubblica amministrazione ovviamente, anzi in primis. Intesa come mano pubblica in senso lato dovrà farsi carico di sostegni a occupazione e funzioni che non erano più da tempo all’ordine del giorno e che verosimilmente non possono conciliarsi con politiche restrittive di rigore monetario. Anche su questo è necessaria una riflessione nuova.
Si intravvede poi qualche idea di sovvenzione generalista ai cittadini. Al di là degli aspetti tecnici di queste misure, un punto positivo è comprendere che nella realtà (nuovamente) rivelata dal virus, la mia salute passa da quella dell’ “omino” che fa le consegne a domicilio. Questo deve spingere anche controvoglia a una maggiore equità di pensiero e di azione, perché non mi è indifferente che questo signore che mi porta il cibo a casa, probabilmente non italiano, non solo chiacchieri in gruppi coi suoi colleghi, ma venga da situazioni dove il virus non è il primo problema di sopravvivenza. Una nuova educazione civica – che va potenziata sul lato diritti e doveri – deve far crescere le generazioni con un rispetto per il bene comune e con un chiaro concetto di comune. Comune è senso di responsabilità verso gli altri, collaborazione, rispetto delle individualità. Questa è la battaglia principale, che non è nei laboratori, ma nella testa di ciascuno e quindi, per esperienza, molto più duro da debellare.